Aveva appena tuffato il coppolicchio della brioche nella panna della granita alla fragola, il dottor Matteo Miccichè, e con godimento stava portandoselo alle labbra, quando, alzando la testa e aprendo la bocca, i suoi occhi, che in quel momento preciso non avevano niente da fare, si fissarono sul nuovo cartellone della stagione lirica, attaccato di fronte, sul muro.
Muro di nobili origini, appartenendo al regio teatro della città, ma sempre deturpato da scritte, manifesti pubblicitari, murales, reclame e quanto d’improprio al libero cittadino potesse venire in mente di esternare al pubblico dominio.
Periodicamente, è vero, il Comune lo faceva ripulire, scrostare, dipingere; ma, forse proprio per la sua posizione elitaria sulla via principale, nel giro di un paio di settimane si era punto e a capo.
Era, questa di scrivere sul muro, un’abitudine talmente radicata in paese da poter essere considerata ormai una tradizione; tanto che i clienti abituali del bar più antico del corso, il Rigoletto, quando se ne stavano sfaccendati ai tavoli all’aperto, clima permettendo (vale a dire quasi sempre), passavano il tempo a leggere le novità sulla parete di fronte, commentandole vivacemente e spesso in modo piuttosto pittoresco.
In verità, vi si leggevano storie assai più ghiotte, umane e credibili di quelle pubblicate dal quotidiano cittadino. Certo, erano notizie ufficiose; perlopiù pettegolezzi, ingiurie, storie d’amore, tifoserie, profferte di sesso illecito, o anche spiate, accuse, sfoghi disperati. Sul muro c’era da leggere per tutti i gusti, e ogni palato trovava il sapore che gli rianimava la giornata o che gliela schifìava definitivamente.
Sta di fatto che, subito dopo ogni intervento igienista del comune, al Rigoletto si respirava un’aria triste e sconsolata; la vista del muro imbiancato, l’aria linda e civile, da monumento europeo, che il teatro riacquistava, gettava nello sconforto i cittadini.
I clienti del Rigoletto se ne stavano seduti ai tavoli d’alluminio, quasi a disagio e, tra una mano di carte e l’altra, avevano l’impressione di non aver niente da dire, nessun motivo per ridere o lamentarsi, nulla!
Forse per questo, il giorno seguente a ogni tinteggio, la prima frase che si ritrovava scritta sul muro immacolato era: Governo ladro. Ladro a prescindere, ovvio, e ladro della libertà di scrivere sul muro ciò che si vuole, magari la verità; quella che si reputa la verità che, pure quando è inganno, rappresenta sempre una faccia della realtà, importante da condividere; anzi, in Sicilia, pure più importante.

Editore: GBM
Anno di pubblicazione: 2006

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