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Quando splende il sole accecante indossano strani occhiali modificati in maniera empirica con frammenti di legno che fasciano le stanghette laterali per impedire ai raggi ultravioletti di raggiungere le pupille molto arrossate e doloranti oppure oscurano le lenti lasciando soltanto una sottile fessura orizzontale che riduce il panorama a una striscia di luce appena percettibile ma più spesso sono immersi nella nebbia o dentro la tempesta di vento che alza pulviscolo di neve e cancella il sole e nasconde la via e soffia contro il loro andare con una violenza che sa di cattiveria di ferocia di spietatezza e si domanda perché si stia scatenando contro di loro questa furia distruttiva e quale sia stata la loro colpa.

Editore: Rizzoli
Anno di pubblicazione: 2007

Nella seconda metà degli anni Sessanta mi recavo di frequente, in parte per motivi di studio, in parte per altre ragioni a me stesso non ben chiare, dall'Inghilterra al Belgio, a volte solo per un giorno o due, a volte per parecchie settimane. Durante una di quelle puntate in Belgio che - questa era allora la mia impressione - mi portavano in terre sempre molto lontane, capitai anche, in una scintillante giornata di inizio estate, ad Anversa, città che fino a quel momento conoscevo soltanto di nome. Già all'arrivo, mentre sferragliando il treno avanzava lentamente sotto la volta buia della stazione, dopo aver attraversato un viadotto dalle strane torrette a guglia su entrambi i lati, fui subito colto da un senso di malessere che, per tutto il tempo trascorso quella volta in Belgio, non mi avrebbe più abbandonato. Ricordo ancora con quali passi incerti girovagavo in lungo e in largo nel centro della città, per la Jeruzalemstraat, la Nachtegaalstraat, la Pelikaanstraat, la Paradijsstraat, la Immerseelstraat e per molte altre vie e stradine, e come alla fine, tormentato dal mal di testa e dai cattivi pensieri, trovassi rifugio al giardino zoologico situato in Astridplein, nelle immediate vicinanze della stazione centrale.

Editore: Adelphi
Anno di pubblicazione: 2006

Capitolo primo
Jesse Oliver Aarons Jr.

Bruuum, brum, brum, baripiti, baripiti, baripiti, baripiti... Bene. Suo padre aveva messo in moto il camioncino. Adesso poteva alzarsi. Jess scivolò giù dal letto e si infilò i pantaloni della tuta. Niente maglietta: sapeva che una volta che si fosse messo a correre gli sarebbe venuto un caldo da scoppiare, anche se l'aria era fresca. Nemmeno le scarpe gli servivano: ormai aveva le piante dei piedi dure quanto la suola delle sue scalcagnate scarpe da ginnastica.
«Dove stai andando, Jess?» May Belle, ancora assonnata, si mise a sedere nel letto matrimoniale che divideva con Joyce Ann.
«Shhhh» l'ammonì lui. Le pareti erano sottili. La mamma si sarebbe arrabbiata come una mosca intrappolata in un barattolo, se l'avessero svegliata a quell'ora del mattino.
Fece una carezza sulla testa di May Belle e le rimboccò le lenzuola tutte attorcigliate, tirandogliele su fino al mento sottile.
«Faccio solo un giretto nel pascolo» le sussurrò. May Belle sorrise e si rannicchiò sotto il lenzuolo.
«Vai a correre?»
«Forse.»

Editore: Mondadori
Anno di pubblicazione: 2007

Parte prima
Il club dei disastri

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Sangue e disastri iniziarono un sabato mattina, quando ero convinto che tutto stesse andando per il meglio. Era ottobre inoltrato nel Texas Orientale e dalla mia poltrona dallo schienale reclinabile mi godevo la vista al di là dell'alta vetrata che occupava interamente due pareti del nostro salotto. Fuori era bellissimo. Una vista deliziosa, con le foglie che si erano fatte di un color oro, rosso e marrone e che iniziavano a cadere. Oltre le sommità dei pini e delle querce giganti che riempivano buona parte dei nostri due acri di terreno, si scorgevano nubi bianche come le mutandine di un angelo. Uno scoiattolo rosso fece un balzo da un ramo di una quercia a un altro, per poi schizzare fuori dal mio campo visivo. Era come essere in un film della Disney.

Editore: Fanucci
Anno di pubblicazione: 2007

1.
Il picnic del mercoledì pomeriggio

Era un breve annuncio sul giornale del mattino, un paragrafo soltanto. Un amico mi telefonò e me lo lesse. Niente di speciale. Una cosa così avrebbe potuto scriverla un giornalista alle prime armi, appena uscito dall'università, giusto per esercitarsi un po'.
La data, il nome di una strada, un autista di camion, un pedone, una vittima, un'indagine per probabile omissione di soccorso.
Suonava come una di quelle poesie sulla carta dei cioccolatini.
« Dov'è il funerale? » chiesi.
« Lo sapessi », rispose lui. « Ma qualche parente ce l'aveva, almeno? »

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Non ho ucciso mio padre, ma certe volte mi sembra quasi di avergli dato una mano a morire. E se non fosse capitata in coincidenza con una pietra miliare del mio sviluppo fisico, la sua morte sembrerebbe un fatto insignificante in confronto a quello che è successo dopo. Parlai di lui con le mie sorelle per tutta la settimana seguente al giorno in cui morì, e Sue di sicuro pianse un po' quando gli uomini dell'ambulanza lo rimboccarono in una vivace coperta rossa e lo portarono via. Era un uomo fragile, irascibile e ossessivo, con le mani e il viso giallastri. Includo qui la breve storia della sua morte solo per spiegare come mai le mie sorelle ed io ci trovammo con tanto cemento a nostra disposizione.

Uno

Mariam aveva cinque anni la prima volta che sentì la parola barami. Accadde di giovedì, Doveva essere per forza un giovedì, perché ricordava di essersi sentita inquieta e pensierosa tutto il giorno, come le capitava di sentirsi soltanto di giovedì, il giorno in cui Jalil veniva a trovarla alla kolba. Per far passare il tempo sino al momento del suo arrivo, quando finalmente l'avrebbe visto salutare con la mano mentre attraversava la radura con l'erba alta sino al ginocchio, Mariam era salita su una sedia e aveva tirato giù il servizio da té cinese della madre, Nana. Il servizio da té era la sola reliquia che Nana conservasse della propria madre, morta quando lei aveva due anni. Custodiva con venerazione ciascuno dei pezzi di porcellana bianca e azzurra: la teiera dal becco elegantemente ricurvo, i fringuelli e i crisantemi dipinti a mano, sulla zuccheriera il drago che doveva allontanare il malocchio. Fu quest'ultimo pezzo che scivolò dalle dita di Manam andando in frantumi sulle assi di legno del pavimento della kolba.

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giovedì, dicembre 27, 2007 |

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